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2012-03-10 23.01.57
INCIPIT DI "TUTE, TACCHI E AMORE", 
romanzo di Esther Pellegrini, edito da Arpeggio Libero

«Sei ancora così?!»
«Ciao anche a te, Missy» borbottai.
Mia sorella mi sorpassò come un tornado, dopo avermi lanciato un’occhiataccia.
«Stavo per cambiarmi. Lo giuro.»
«Sì, e io sono la Regina d’Inghilterra.» Missy batté il piede nervosa, le mani sui fianchi. Poi si buttò sul divano, fissando il disordine perenne e sospirò. 
«Sei senza speranza.»
La mia faccia era perplessa mentre raccoglievo i residui di un cartone di pizza e una bracciata di panni da stirare.
«Lascia stare quella roba, Kate! Va’ su a farti una doccia. E, per l’amor di Dio, togliti quell’orrore di dosso.»
«Va bene, va bene.»
Salii di malumore le scale per andare in bagno: “Come è possibile che mi sia fatta convincere da mia sorella ad uscire?”, pensai sgomenta.
Entrai in camera da letto e mi fissai allo specchio: cos’aveva la mia tuta che non andava? 
Certo, sembravo appena sbarcata da un continente bombardato e colpito da tsunami, ma non aspettavo mica Hugh Grant per cena.
E poi, non è che una madre di tre figli, in casa se ne stia tutta impellicciata a far niente da mattina a sera, con l’unico impegno di vedere quanto ci mettano le unghie a crescere.
A meno che quella mamma non si chiami Paris Hilton. 
Ma, dato che il mio cognome da nubile è sempre stato Marshall e non mi risulta affatto di essere la parente povera del danaroso nonno americano di Paris Hilton, io in casa mia mi vesto come cavolo mi pare.
Schifosamente, secondo mia sorella.
Cambiarmi per che cosa, poi? Per una stupidissima birra in uno stupidissimo pub. Capirai.
Sbuffando seccata, dopo una doccia alla velocità della luce arrivò il dilemma: cosa indossare?
Si è capito che non frequento la buona società, giusto?
Anzi, io non frequento nessuna società. Punto.
Quindi era ovvio che questa domanda mi mandasse in bestia, poiché giudicavo ridicolo essere considerata solo per come mi conciavo. 
Se fossi vissuta con gli indigeni dell’Amazzonia, sarei andata in giro con le tette al vento e le chiappe all’aria, senza problemi. E magari con un bell’osso nel naso.
Me lo osservai dubbiosa: mmm… non sarei stata molto carina con una specie di attaccapanni infilato fra una narice e l’altra. Avrei finito coll’assomigliare ad una sorta di coso dell’antichità, tipo triceratopo. E magari avrei cominciato a muggire.
Poi pensai a dove sarebbero arrivate le mie tette senza l’ausilio del mio reggiseno e mi dissi che, oltre a diventare un attaccapanni triceratopo, avrei avuto delle tette orribili che avrebbero strisciato per terra.


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Sì, ecco... questa quassù sarei io...


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